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Sifap e Sifo un binomio vincente

Proprio in piena pandemia, la Società dei farmacisti preparatori ha rafforzato la collaborazione con quella dei farmacisti ospedalieri. E, come racconta la presidente Paola Minghetti, «mettere a fattor comune le diverse esperienze ha dato i suoi frutti»

Lezioni, esami, pubblicazioni, convegni online. La giornata di Paola Minghetti, professore ordinario di Tecnologia e legislazioni farmaceutiche all’Università di Milano e presidente della Società italiana farmacisti preparatori (Sifap), scorre in modo frenetico. Riusciamo a intercettare la docente in una delle poche pause dal lavoro per parlare della collaborazione tra Sifap e Sifo.

Quando e da quali esigenze è nata la Società italiana farmacisti preparatori (Sifap)?

Sifap è stata avviata nel 1993 grazie alla collaborazione tra Marcello Marchetti, professore ordinario alla Facoltà di Farmacia dell’Università di Milano, e alcune aziende di distribuzione di materie prime. L’obiettivo era quello di supportare, dal punto di vista tecnico e normativo, i farmacisti impegnati nelle preparazioni magistrali, un ambito di nicchia che non veniva sufficientemente approfondito dalle principali società scientifiche dei farmacisti.

La collaborazione con la Società italiana dei farmacisti ospedalieri (Sifo)… quando è stata avviata e con quali risultati?

Fin dall’origine Sifap e Sifo hanno sempre collaborato. Tale proficua sinergia si è consolidata proprio nel corso della pandemia, durante la quale siamo stati tra i primi a organizzare, in modo congiunto, Galenica on line. Un ciclo di webinar finalizzato soprattutto ad allestire o a gestire alcuni dei prodotti necessari a fronteggiare l’emergenza, tra cui disinfettanti, medicinali, vaccini. Una collaborazione che è risultata utile e che ha dato i suoi frutti, mettendo a fattor comune le varie esperienze.

Oltre a Sifo, è in atto o in previsione una collaborazione con altre società scientifiche?

La sinergia con le altre società dei farmacisti, come per esempio la Federazione ordini farmacisti italiani (Fofi), è costante. Da tempo stiamo cercando di attivare delle collaborazioni con le società dei medici prescrittori. Per esempio, al congresso nazionale di Sifap, dal 13 al 19 marzo 2021, abbiamo organizzato una sezione in collaborazione con la Società italiana di pediatria (Sip). In un prossimo futuro, vorremmo coinvolgere anche i ginecologi, i dermatologi, i medici che si occupano di terapie palliative.

Qual è il ruolo della comunicazione per una società scientifica come Sifap oggi?

La comunicazione è fondamentale per veicolare le informazioni in modo rapido e autorevole. Devo, tuttavia, ammettere che su questo fronte siamo un po’ deficitari. Le società scientifiche dovrebbero disporre, al loro interno, di un esperto che gestisca la comunicazione, figura di cui al momento non disponiamo soprattutto a causa del budget limitato. Al momento usiamo soprattutto Facebook, Linkedin, il sito, ma dobbiamo migliorare e fare ulteriori passi avanti.

Talvolta si parla dei vari possibili ruoli del farmacista ospedaliero quasi mettendoli in contrapposizione tra loro: farmacista “magazziniere”, farmacista preparatore, farmacista clinico. Quale dovrebbe essere secondo lei il principale compito di questo professionista oggi?

Il farmacista è un professionista con una formazione interdisciplinare, che si riverbera nello svolgimento di varie attività diverse tra loro. Vanno dalla consulenza in corsia alla galenica, dall’approvvigionamento del farmaco alla gestione dei dispositivi medici. Sono tutte attività importanti, che il farmacista deve svolgere per aiutare il paziente ad avere il farmaco giusto al momento giusto nel luogo giusto alla dose giusta. La soluzione migliore è disporre, all’interno di un dipartimento di farmacia, di varie unità operative, ciascuna dotata di un responsabile e dedicata a un aspetto specifico.

In una farmacia di comunità è ancora un valore aggiunto effettuare un preparato magistrale o è un’attività un po’ di nicchia?

Indubbiamente la galenica rappresenta un’attività residuale, ma ciò che conta è che il preparato magistrale venga allestito nel modo corretto per il paziente che ne ha bisogno. In virtù di ciò, è corretto che ci siano delle farmacie di comunità che vi si dedicano maggiormente, con attrezzature e personale appositi, e altre che puntano, invece, su attività diverse, come fitoterapia, erboristeria, cosmetica.

Qual è la situazione dei farmacisti preparatori all’estero?

Le esigenze terapeutiche sono uguali in tutti i Paesi, perciò l’attività è abbastanza sovrapponibile in termine di tipologia e di quantità. Ciò che varia è l’organizzazione, regolamentata in ciascuno Stato a livello nazionale.

Cosa ne pensa del programma di Draghi per la sanità?

Lo condivido pienamente. La pandemia ci ha mostrato con evidenza che è importante investire, oltre che su ospedali di eccellenza, anche sulla medicina del territorio, considerando che, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, i pazienti sono sempre più anziani e affetti da varie malattie croniche. Occorre, quindi, creare una medicina territoriale moderna, in grado di farsi carico del paziente, dal punto di vista sia diagnostico che terapeutico. Può contribuire così al decongestionamento dei reparti ospedalieri, che andrebbero riservati ai casi acuti e ai trattamenti innovativi. Per realizzare ciò serve, però, attuare un’organizzazione diversa, in grado di sfruttare anche le potenzialità offerte dal digitale e dalle tecnologie. Medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, farmacisti di comunità, con il coordinamento dalle Asl, devono costituire una “rete” integrata a servizio del paziente.

È stato difficile per lei, in quanto donna, raggiungere i vari traguardi professionali?

In alcuni momenti della vita conciliare le esigenze della famiglia con quelle della professione non è stato facile. Fare carriera universitaria significa non avere orari, essere disposti a lavorare anche alla sera e nei fine settimana, per esempio in caso di urgenze in ospedale, convegni e congressi, preparazione di paper e studi. Il rischio è quello di doversi barcamenare tra casa e ufficio sentendosi sempre inadeguate. A onor del vero, comunque, l’ambito della ricerca non discrimina tra uomini e donne. Tant’è che anche l’attuale ministro dell’Università è una donna, Maria Cristina Messa.

Ha avuto un “maestro” nella sua formazione?

Sì, innanzitutto il professor Marchetti, che mi ha insegnato l’importanza di coniugare gli aspetti scientifici del farmaco con quelli normativi. E poi il farmacologo Rodolfo Paoletti, già preside della Facoltà di Farmacia dell’Università di Milano, e il professor Albert Wertheimer, direttore del dipartimento di Graduated studies in social and administrative pharmacy dell’Università del Minnesota, in cui ho perfezionato i miei studi. Lo considero un po’ il mio maestro al di là dell’oceano.

Quindi consiglierebbe ai giovani un’esperienza formativa all’estero?

Sì, a tutti, ma soprattutto a chi vuole dedicarsi alla ricerca in ambito universitari. Il confronto con altri Paesi apre nuove prospettive e amplia gli orizzonti

Il prossimo obiettivo professionale?

In quanto professore universitario, vorrei dare il mio contributo alla revisione del corso di laurea in farmacia, un’esigenza che ormai non è più rimandabile. Per il resto, mi piacerebbe lasciare un segno in chi lavora con me, riuscendo a trasmettere ciò che io stessa ho imparato, in modo che le attività che ho iniziato possano proseguire in futuro.

Vorrebbe, insomma, chiudere il cerchio, essendo a sua volta un buon “maestro”…

Esatto. Vorrei vedere i miei allievi con una formazione abbastanza solida da poter camminare con le loro gambe, arrivando anche a superare il maestro stesso.

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