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Personalizzare i prodotti a base di piante

I prodotti a base di piante, di importanza diffusa e riconosciuta, possono essere classificati in categorie diverse, in funzione della finalità d'uso: approfondisce il tema il nuovo webinar Sifap/SIFO parte dell'iniziativa La Galenica continua online

La classificazione dei prodotti a base di piante è molto importante ai fini della tutela del paziente/consumatore e dal punto di vista della regolamentazione. Se la classificazione non è corretta, infatti, non vengono garantiti i requisiti di qualità, efficacia e sicurezza, situazione che può configurare un illecito.

Il parametro che guida la classificazione è la finalità d’uso. Tuttavia, esistono situazioni ambigue: fra l’utilizzo allo scopo di ridurre uno dei fattori di rischio di una malattia (caso nel quale il prodotto viene classificato come integratore alimentare) e quello al fine di prevenire una malattia (caso in cui viene classificato come medicinale) il confine è molto labile.

Se ne parla nel corso del webinar La personalizzazione del prodotto salutistico per il benessere fisiologico organizzato da Sifap e SIFO nell’ambito dell’iniziativa di formazione e aggiornamento La Galenica continua online e aperto dall’intervento di Paola Minghetti, Presidente Sifap.

Come vengono classificati i prodotti a base di piante

Questi prodotti possono ricadere nella categoria dei medicinali, dei cosmetici, dei biocidi, dei dispositivi medici, dei prodotti erboristici (che, com’è noto, non possiedono una normativa specifica), degli alimenti speciali o degli integratori alimentari.

Dunque, la classificazione si basa sulla valutazione degli elementi, sia formali che sostanziali, del prodotto. Per elementi sostanziali si intendono parametri quali la natura dei componenti, la composizione, la via di somministrazione e l’attività dimostrabile nelle condizioni d’uso. Per elementi formali si intendono le indicazioni, la finalità d’impiego e le proprietà vantate nella presentazione (in etichetta, inserto allegato, messaggio pubblicitario).

Dal punto di vista regolatorio, ai fini della classificazione, risulta chiaramente più semplice l’analisi dell’aspetto formale.

Il primo step da compiere è escludere che il prodotto in questione sia un farmaco, in base alla definizione di medicinale presente nell’articolo 1 del Decreto Legislativo 219/06:

[…] ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane; ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica

Infatti, la classificazione di un farmaco in una categoria diversa da quella dei medicinali configura un illecito (quello di immissione in commercio di un medicinale non registrato).

La prima parte della definizione si riferisce alle proprietà curative o profilattiche, che sono esclusive del farmaco e del dispositivo medico.

La seconda parte cita, invece, azioni quali “ripristinare”, “correggere” e “modificare”, che rimandano ad un concetto di intervento su un contesto fisiologico che è stato in qualche modo perturbato, ma senza un riferimento specifico a una condizione di patologia.

Dovendosi basare su questa definizione in fase di classificazione, risulta difficile posizionare con esattezza il confine fra queste due condizioni.

La classificazione in base alla finalità d’uso

Se la finalità d’uso è alimentare, il prodotto viene classificato come alimento. Gli alimenti rappresentano una categoria gestita con frequenza limitata nelle farmacie, che hanno bisogno di licenze speciali per questo tipo di attività. Al contrario di alimenti speciali e integratori, che sono di comune gestione in farmacia.

Il fatto che l’integratore alimentare svolga una nutrizione fisiologica permette di classificare i prodotti a base di erbe con questa finalità d’uso in questa categoria.

Il Regolamento (CE) 1223/2009 definisce il cosmetico come:

qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei

In realtà, a sottolineare la labilità dei confini posti dalle definizioni dei diversi prodotti, le azioni di “protezione” e “mantenimento in buono stato” citate da questa definizione possono presentare aspetti di analogia con la prevenzione di una patologia.

Una pianta, tante categorie

La classificazione dei prodotti a base di piante non procede sulla base del tipo di piante in essa contenuto, né sulla quantità in cui sono presenti. A conferma di questa considerazione, il fatto che esistono in commercio medicinali che contengono estratti di piante in quantità minori rispetto ad altri prodotti che sono classificati come integratori.

L’unico vero riferimento è rappresentato, come si anticipava nelle sezioni precedenti, dall’indicazione d’uso.

La valeriana, ad esempio, come ipnotico-sedativo negli stati lievi e temporanei di difficoltà di addormentamento è considerata medicinale, ma per le sue “proprietà distensive utili a conciliare il sonno” (come potrebbe recitare il claim di un ipotetico prodotto) è classificata come integratore alimentare.

Analogo ragionamento per l’iperico, presente in medicinali soggetti a prescrizione medica indicati per il trattamento delle sindromi depressive e all’interno di integratori alimentari “coadiuvanti del buonumore”.

La ratio che guida questo processo è la seguente: se un soggetto è affetto da una patologia il mancato effetto il mancato effetto (evenienza possibile assumendo un integratore alimentare) è correlato ad un determinato rischio (relativamente basso), mentre se il soggetto è sano e intende migliorare il suo stato di benessere il rischio è significativamente inferiore.

La tutela della salute pubblica

Per garantire la tutela della salute pubblica vengono seguite procedure differenti nella produzione, immissione in commercio e vendita a seconda della categoria in cui il prodotto è classificato.

Dal punto di vista della galenica, il farmacista concentra su di sé la figura del produttore e anche del soggetto che immette in commercio e vende il prodotto.

Per quanto riguarda, invece, gli alimenti, la farmacia non ottiene un’autorizzazione alla produzione e alla vendita contestuale all’apertura. Tuttavia, può produrre cosmetici, attività per la quale non ha bisogno di ulteriori autorizzazioni, ma solo di una comunicazione al Ministero.

L’immissione in commercio

La Circolare n. 3 del 18 luglio 2002 regola l’applicazione della procedura di notifica di etichetta per i prodotti a base di piante e derivati aventi finalità salutistiche.

Le piante che rientrano in questa normativa (debole, dal momento che si tratta di una Circolare) devono possedere azione salutistica ed essere sicure (la sicurezza fa riferimento alla tradizione d’uso): per questa categoria di prodotti è richiesta solo la procedura di notifica dell’etichetta.

La circolare stabilisce che il farmacista può allestire estemporaneamente (e anche non) prodotti non medicinali a base di ingredienti vegetali, purché le piante siano presenti nell’elenco del Ministero, il prodotto sia per uso orale e la sua produzione sia conforme alle NBP. Questo rappresenta un risultato ottenuto anche grazie all’attività di advocacy svolta da Sifap.

I derivati dell’idrossiantracene

Il Regolamento (UE) 2021/468 del 18 marzo 2021, che modifica l’allegato III del Regolamento 1925/2006 del 20 dicembre 2006, ha vietato l’uso negli alimenti dei preparati delle foglie di aloe (Aloe spp.) contenenti derivati idrossiantracenici, dei derivati idrossiantracenici aloe-emodina, emodina e dantrone (analogo di sintesi) e di tutte le preparazioni in cui sono presenti.

Questo provvedimento risponde alle esigenze evidenziate dalla progressiva stratificazione delle conoscenze, che mettono in luce nuovi aspetti di tossicità.

Malgrado in base al suddetto aggiornamento regolatorio, i preparati a base di aloe contenenti derivati idrossiantracenici non possono entrare a far parte della composizione degli integratori alimentari, questi prodotti non sono stati eliminati dalla FU, perché l’elemento di tossicità è riferito al rapporto rischio/beneficio. In base a questo principio, un livello di minima tossicità che potrebbe essere ammesso in un medicinale non lo è nell’integratore.

Quali piante per quali situazioni fisiologiche

Il razionale d’uso del farmaco vegetale si basa sul principio che questa categoria di prodotti, rappresentando quella soggetta al più ampio numero di controlli di qualità, offre numerose garanzie di sicurezza.

Il razionale d’uso dell’integratore alimentare, si basa invece, sul fatto che tale prodotto è pensato per l’ottenimento di un effetto salutistico e di mantenimento della salute.

Gli integratori a tutela delle funzioni fisiologiche

Fra le funzioni fisiologiche per le quali gli integratori alimentari sono maggiormente impiegati, troviamo quelle correlate all’adattamento allo stress.

Dal punto di vista fisiologico, l’uomo risponde in maniera ottimale ad una perturbazione al fine di individuare una modificazione allostatica che promuova una risposta adattativa. La possibilità di ottenere una performance fisiologica efficace o inefficace è in relazione alla durata e all’entità dell’azione perturbante.

Il distress, ovvero una condizione di stress importante sia per intensità che durata, può portare a conseguenze significative a livello fisico, psicologico, cognitivo e immunitario.

Ne parla Marco Biagi, ricercatore e docente presso l’Università di Siena.

Gli adattogeni

Quello sopra descritto rappresenta il campo di applicazione ideale per le sostanze di origine vegetale, in particolare per quelle appartenenti alla categoria degli adattogeni, poiché non esiste alcun farmaco di sintesi che possa vantare questo tipo di proprietà.

Gli adattogeni sono sostanze capaci di contenere e normalizzare la nostra risposta adattativa allo stress. Abbassano la soglia della risposta psico-neuro-endocrino-immunitaria e potenziano la risposta di adattamento, prolungando la fase di resistenza.

Il loro meccanismo d’azione si basa sull’interazione a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che induce una risposta a livello del recettore glucocorticoide e mima la reazione fisiologica allo stress.

Le piante ad azione adattogena

Una delle piante ad azione adattogena più nota è la Rhodiola rosea L., che viene impiegata per abbassare la soglia di risposta ad una perturbazione grazie alla presenza di fenilpropanoidi. Sono disponibili numerosi prodotti standardizzati a base di rodiola che ci permettono di valutarne e confermarne i meccanismi d’azione. Per ottenere la risposta adattogena è necessario impiegare preparazioni che contengano sia salidroside che rosavine.

Di estesa e antica conoscenza, anche Panax ginseng C.A. Meyer: la farmaceutica, in questo caso, suggerisce che è fondamentale la presenza e il raggiungimento di un determinato titolo di ginsenosidi fondamentali (panaxadioli e panaxatrioli) per ottenere la risposta adattativa. Al di là dei meccanismi generali condivisi con altre piante quali la rodiola, il ginseng possiede un’azione immunomodulante e di regolazione del metabolismo del glucosio a livello periferico.

Viene consigliato (per cicli di trattamento che vanno dalle 2 alle 6 settimane) in particolare alle persone che, in situazione di stress, sono soggette ad avvertire un burden eccessivo di stanchezza e difficoltà a gestire il carico di lavoro. Anche se viene sconsigliato ai soggetti non normotesi, i suoi effetti ipertensivi si verificano solo a dosaggi molto alti, incompatibili con quelli previsti per la supplementazione.

L’impairment cognitivo

Le piante ad azione adattogena possono essere utilizzate per il mantenimento della funzione cognitiva in condizioni fisiologiche e a scopo preventivo.

Fra queste, la Bacopa monnieri (L.) Wettst. Il suo impiego si basa sul fatto che, nelle sue parti aeree, è ricca di saponine steroidee (bacosidi), responsabili di una attività neuroprotettiva e della contemporanea modulazione della trasmissione colinergica e GABAergica.

I prodotti vegetali immunomodulanti

Fra le piante ad azione immunomodulante più note, troviamo l’echinacea. Ai fini dell’utilizzo, è tuttavia fondamentale distinguere fra le diverse specie in cui risulta disponibile: Echinacea angustifolia D.C., Echinacea pallida Nutt., Echinacea purpurea (L.) Moench.

Queste specie sono caratterizzate da una fitochimica molto differente fra loro, non tanto dal punto di vista dei polisaccaridi (che sono analoghi), ma soprattutto per quanto riguarda le alcamidi e i derivati caffeici.

L’efficacia dell’echinacea si esprime soprattutto nella capacità di prevenire le infezioni delle alte vie aeree, ma solo per la Echinacea purpurea (pianta intera) emergono dati significativi.

Le altre specie della pianta vengono utilizzate per scopi diversi, ad esempio per l’integrazione nella fase in cui la sintomatologia infiammatoria è già in atto.

Le fibre prebiotiche

Le fibre sono note per la capacità di generare un effetto massa, che, nel caso delle fibre prebiotiche, viene affiancato dalla capacità di regolarizzare la funzione intestinale.

In particolare, inulina e fibre di psyllio sono correlate al mantenimento del benessere intestinale sulla base dell’apporto di fibra vegetale indigeribile (effetto massa), ma anche perché permettono di mantenere equilibrata la composizione del microbiota e, dunque, di tenere sotto controllo la proliferazione dei batteri patogeni.

La low grade inflammation

Stili di vita, alimentazione e attività fisica possono, quando non sono equilibrati, comportare un’alterazione del grado di infiammazione presente nell’organismo non sintomatica ma che, negli anni, può determinare un aumento del rischio di malattie quali i tumori e le patologie neurodegenerative.

Molte piante impiegate nell’integrazione alimentare rivestono importanza strategica nel mantenere sotto controllo il livello di infiammazione.

Tra queste, la curcuma. Le evidenze cliniche disponibili per questa pianta si riferiscono all’azione in condizioni di stress che possono aumentare la risposta infiammatoria, stati di affaticamento, infiammazioni intestinali che, cronicizzando, possono determinare la comparsa di una sintomatologia.

La liquirizia e gli inibitori di pompa

L’uso non razionale degli inibitori di pompa protonica nei soggetti non esposti a fattori di rischio o in associazione ai FANS può determinare l’esposizione a rischi.

In alternativa, per ottenere un’attività gastronormalizzante è possibile ricorrere a prodotti vegetali sicuri, utilizzabili a cicli.

La liquirizia (Glycyrrhiza glabra L.) è fra le piante che rientrano in questa categoria, grazie al suo contenuto in glicirrizina e flavonoidi (correlati all’azione gastroprotettiva). Il fatto che l’assunzione di questa pianta sia correlata ad effetti ipertensivi anche a bassi dosaggi e per brevi trattamenti impone di osservare un certo livello di attenzione.

L’attività antisecretiva e antinfiammatoria della liquirizia è basata sull’inibizione delle ciclossigenasi di tipo 2 (COX-2), a sua volta legata all’azione di inibizione del catabolismo delle prostaglandine.

Da queste caratteristiche l’importanza della rivalutazione della liquirizia, in particolare se deglicirrizinata.

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